mercoledì 28 luglio 2010

Così scriveva il prof. Vittorio Grevi nel Corriere della Sera il 27 gennaio 2009

Così scriveva il prof. Vittorio Grevi nel Corriere della Sera il 27 gennaio 2009.
E' forse per questo che in molti non lo vogliono come Vice presidente del CSM?


Per una disciplina delle intercettazioni
di Vittorio Grevi (dal Corriere della Sea del 27 gennaio 2009)

Dal quotidiano profluvio di notizie e di smentite, intorno ai futuri indirizzi politicolegislativi in tema di intercettazioni (da non confondersi con le recenti polemiche sull'«archivio Genchi», composto invece di tabulati, cioè di dati esterni al traffico telefonico), emergono alcune questioni di fondo destinate a configurarsi come altrettanti punti nodali della nuova disciplina del settore, peraltro già anticipati nel disegno di legge promosso a giugno dal ministro Alfano.

Una disciplina la quale non potrà comunque prescindere dal fatto che le intercettazioni costituiscono uno strumento prezioso e spesso insostituibile per le indagini, previsto dalla costituzione in deroga al principio della libertà e segretezza delle comunicazioni, e per ciò ammissibile soltanto «per atto motivato dell'autorità giudiziaria» e «con le garanzie stabilite dalla legge».

Vediamo, dunque, di esaminare alcune di tali questioni, cominciando dal profilo statico delle suddette garanzie.

1) Ambito di ammissibilità delle intercettazioni.
Anche all'interno delle forze di maggioranza ci si è persuasi che non è possibile restringere oltre misura (ad esempio, con riguardo ai soli delitti di terrorismo e di criminalità organizzata, secondo una proposta più volte rilanciata dal presidente Berlusconi) l'area dei reati, per il cui accertamento sono ammesse le intercettazioni.
Accantonata, per ovvie ragioni di buon senso, l'idea di non consentirle rispetto ai delitti contro la pubblica amministrazione (ivi compresa la corruzione), ci si sta rendendo conto che, anche rispetto agli altri reati comuni, la soglia di sbarramento prevista dal progetto Alfano (pena massima superiore ai dieci anni) è troppo elevata. Infatti ne rimarrebbero esclusi molti reati, rispetto ai quali sarebbe assai controproducente rinunciare ad un simile strumento investigativo (tra questi, i delitti di associazione per delinquere, rapina, estorsione, sequestro di persona, bancarotta fraudolenta, sfruttamento della prostituzione, violenza sessuale, etc.).

2) Autorizzazione del giudice.
Potrebbe essere opportunamente coltivata la proposta, contenuta nel progetto Alfano, di attribuire ad un tribunale collegiale, in luogo del gip, la competenza ad autorizzare le intercettazioni, su richiesta del pm.
Anche qui, tuttavia (come nel settore delle misure cautelari), occorre fare i conti con notevoli problemi organizzativi, soprattutto nei tribunali, anche provinciali, di modesto organico. E, in ogni caso, nelle ipotesi di urgenza occorrerebbe comunque riservare al pm il potere di provvedere di sua iniziativa, salva la successiva convalida dell'organo collegiale.

3) Presupposto indiziario.
Fermo restando che le intercettazioni non possano venire autorizzate per la sola ricerca delle notizie di reato, il loro presupposto deve essere rappresentato (come oggi) dalla presenza di «gravi indizi di reato», non potendosi invece pretendere, come qualcuno vorrebbe, la sussistenza di «gravi indizi di colpevolezza» a carico di un indagato.
Una volta commesso il reato, infatti, le intercettazioni devono poter essere disposte — in quanto indispensabili — anzitutto per verificare in quale direzione debba svilupparsi l'indagine, dunque anche quando ancora nulla si sappia circa gli autori del reato (oltreché, naturalmente, allo scopo di riscontrare poi gli eventuali indizi già sussistenti a carico di uno o più soggetti).

4) Durata delle operazioni.
Appare molto opinabile la proposta secondo cui (a parte le indagini per delitti di terrorismo o di criminalità organizzata) la durata delle intercettazioni, proroghe incluse, non potrebbe comunque superare un certo limite temporale: tre mesi stando al progetto Alfano, ovvero addirittura un termine inferiore stando ad altri. Si tratta di proposte che si scontrano con la realtà di numerose esperienze giudiziarie, oltreché con la stessa logica, non essendo pensabile che l'uso di un certo strumento investigativo debba bloccarsi, nel bel mezzo delle indagini in corso (se mai potrebbero essere irrigiditi i presupposti dei provvedimenti di proroga dell'originario termine).

5) Intercettazioni ambientali (cioè tra soggetti presenti).
Mentre è comprensibile che, all'interno del domicilio, esse siano sottoposte a presupposti molto rigorosi (in particolare, solo quando si abbia motivo di ritenere che vi si svolgerà l'attività criminosa), non ha senso, invece, che gli stessi presupposti vengano prescritti per tali intercettazioni, come pure per quelle di immagini mediante riprese visive, anche nei luoghi pubblici o aperti al pubblico.
Naturalmente molti altri sono i problemi legati al profilo dinamico delle intercettazioni, ai possibili abusi (che vanno repressi) ed agli eventuali eccessi (che vanno contenuti sul piano concreto, a parte la questione dei costi, da risolversi anche a livello organizzativo). Il più importante e urgente è, ovviamente, quello relativo all'indebita divulgazione, ed alla successiva pubblicazione, dei risultati delle stesse, soprattutto quando si tratti di intercettazioni ancora segrete, ovvero irrilevanti per i fini di giustizia. Su tutti questi problemi, dunque, occorrerà tornare a riflettere. Ma perché, nel frattempo, non si riprendono le mosse (anche) da quel disegno di legge Mastella, che nell'aprile 2007 era stato approvato dalla Camera pressoché all'unanimità, con soli sette astenuti?

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